Bracco e caccia. Da lungo tempo un binomio indivisibile che rievoca immagini di ampie risaie sprofondate nella caligine novembrina, di boschi umidi di rugiada, di sporchi e medicai illuminati dal sole settembrino, di fratte e calanchi al risveglio dell'alba, di lanci e rododendri nell'immenso silenzio del monte.
Beccaccini, beccacce, quaglie, starne (un tempo ormai!), fagiani forceli, sono tutti selvatici con cui sa esprimersi al meglio.
Il bracco è cane generico per eccellenza, cacciatore resistente e validissimo il cui innato collegamento con il conduttore diviene utilissimo e molto proficuo. Paolo Ciceri dice: "Parlate con il vostro bracco, vedrete che vi capirà". Sacrosante vero.
Razza robusta, eccellente recuperatore, ha istinto e passione innata al riporto che esegue con palpabile compiacimento. Per il nostro bracco riportare il selvatico è piacevole coronamento di un'azione tutta tesa allo scopo. E cane idoneo alla maggioranza delle situazioni venatorie odierne.
Mentre vediamo le razze inglesi troppo spesso costrette a ridurre e modificare la loro azione in ambienti inidonei, piccoli spazi intersecantisi fra tabelle, case, stradelli trattenute anche dai proprietari per ragioni di carniere, il bracco può liberamente svolgere azione positiva senza alterare lo stile di razza che può evidenziarsi in pieno.
E lo stile del bracco è quanto mai importante e significativo essendo bagaglio proprio della razza.
Sul terreno, in cerca, il portamento eretto, la testa portata alta, il collo proteso a dominare l'emanazione, il trotto lungo, agile e potente al tempo stesso, naturalmente svolto senza forzature, né scatti meccanici tale da sembrare un giocattolo a molla, anche i giusti tempi di galoppo (il famoso «galoppone») dettati dall'entusiasmo e dalla passione, formano un quadro di imponenza propria della razza facendone un carattere di spicco.
Questo quadro raggiunge la sua massima espressione in filata, guidata e in ferma dove il bracco esprime al meglio il suo stile e la sua maestosità naturale balza immediata all'occhio dell'appassionato.
Il portamento ha, in questi frangenti, dopo l'aver captato l'effluvio, agganciato il selvatico fino a bloccarlo, il suggello definitivo. È chiaro che in certe circostanze il bracco, da buon cacciatore, deve fare di necessità virtù traendo il suo stile naturale, pistando il fagiano incallito in terreno sporco e difficile, in particolari condizioni olfattive. Il carniere ha le sue ovvie esigenze come le mille e differenti condizioni a caccia.
Ma, appena possibile, la sua grande espressività riemerge e si riafferma. Né possiamo dimenticare la coda.
In cerca, il suo ritmico, costante ondeggiare che non deve comunque mal degenerare in un inutile mulinello, è un dialogo continuo con il conduttore. È l'esatta «relazione» di ogni istante della cerca, trasmette gli stati d'animo del cane, dai più tranquilli, con un lento ondeggiare, ad un battito accelerato in presenza dell'emanazione, fino all'immobilità, talvolta fremente, a contatto con l'animale.
Il movimento di coda è elemento imprescindibile, quando sia scarso o manchi del tutto è grave lacuna, mancando una peculiarità propria del continentale. L'esplorazione del terreno denota profondo senso del selvatico: il bracco esplora dove esso può essere. La sua cerca metodica, che si differenzia assai come impostazione da quella delle razze inglesi, tende a concentrarsi ove è possibile reperire l'animale insediato a seconda della natura del terreno, guidato da quell'atavico istinto che la selezione e la caccia hanno forgiato.
Lavoro redditizio, specie ove il collegamento si rivela importante ai fini del carniere. Praticamente sempre, quindi.
I tipici accertamenti per i quali il cane interrompe il normale lavoro esplorativo spingendosi a sincerarsi, ad accertare appunto, se quella determinata posizione sia o meno dimora del selvatico, sono azioni e momenti propri del continentale che devono essere apprezzati e sottolineati.
Volendo concludere parlando dell'andatura, ci sia consentito citare nuovamente Ciceri che in proposito scrive: "il bracco italiano trotta non perché la sua costruzione massiccia, il portamento del collo e della testa è importantissimo. L'indole riflessiva gli fanno preferire un'andatura che più è conforme alla sua struttura e, per atavica consuetudine, consona al suo istinto di cercatore positivo e meticoloso ...".
Ci sembra, in proposito, la definizione più esatta, scritta dal «Padre» del bracco italiano, da colui che lo ha affermato facendo scuola e guidando impeccabilmente la razza. È augurabile che i cacciatori si rendano conto delle qualità di questo nostro cane indigeno, avvicinandosi fiduciosi e potendo così conoscerlo ed apprezzarlo.
I buoni esempi non mancano.

Alessandro Evangelisti
Stile di Bracco


Tratto da "Il bracco italiano a caccia e alle prove"
di Massimo Scheggi
Editoriale Olimpia